Scrivere per la pace

di Renzo Cresti

Nel cupo momento in cui il Covid aveva disorientato tutti la SIMC lanciò l’idea di Scrivere per il futuro, alla quale è strettamente collegato questo nuovo progetto di Scrivere per la pace. Senza pace non c’è futuro. La guerra toglie ogni dignità all’uomo, calpesta i valori di civiltà e di libertà. L’artista non può rimanere insensibile a ciò che avviene nel mondo. È vero, l’artista è un solitario e solo nella solitudine prendono forma le opere le quali, però, anche non volendo, sono comunque collegate al proprio tempo. Vi è una sorta di verità nascosta che ogni opera porta in sé. Anche nelle opere più formalistiche vi è quello che Göthe intendeva per Lebendige Form ossia un intreccio molto umano fra l’opera e l’esistenza.

 

Il divenir-opera dell’opera è una maniera del divenire e dello storicizzarsi della verità, scrive Martin Heidegger in Sentieri interrotti, nell’opera si produce uno svelamento che illumina il momento storico. L’artista è alla ricerca del suo copione, che solo l’accadimento dell’opera svela. È nel compiersi dell’opera che accadono le energie dell’esserci, è l’Ereignis, l’evento che precipita dal contesto storico verso l’opera.

 

Nell’opera avviene un’apertura, in essa si mostra il visage altrui, l’ospite segreto che convive dentro di noi, l’ombra del nostro essere, la società che ci accoglie, il mondo in cui si svolge la nostra vita, dove il presente, il passato e la speranza di futuro si abbracciano, dove i viventi e i morti soggiornano gli uni accanto agli altri, realizzando un intreccio corale di un divenire indiviso e universale. Se l’opera non afferrasse tutto questo sarebbe poca cosa, una mera espressione dell’emotività individuale, ma la vera comunicazione è ben altra cosa, essa si nutre della problematicità dell’essere e dell’esserci e sa cogliere i segreti che giacciono nelle profondità dell’io, che all’inconscio collettivo sono collegati.

“E come potevamo noi cantare […] fra i morti abbandonati nelle piazze”, dice Salvatore Quasimodo. Perché scrivere musica in tempi di dolore e di miseria? Ma è proprio per queste ragioni, per alleviare sofferenze e fornire una luce di speranza, che occorre fare musica, riprendere la cetra e continuare a scrivere poesie.

È nel noi che l’evento artistico comunica la sua verità. È nel noi che si può configurare l’etica, la quale dona senso alla vita. “Si vive in uno stato di guerra permanente”, scrive Georg Wilhelm Hegel nella sua Estetica, la quale, se vuol mantenere il suo alto profilo, non può che basarsi sull’umanità dell’etica, contraendosi in e(ste)tica.

Non vi può esser posto per l’individualismo che blocca ogni avvento, perché nell’egocentrismo vi è chiusura e non vi è alcun esodo, né viaggio, né pellegrinaggio (“pellegrini di bellezza”, così Papa Giovanni Paolo II, chiamò gli artisti, 1999). Chi intende il proprio operare come diretta emanazione del proprio io non apre la sua arte all’accoglienza dell’esserci, così l’opera si fa cattiva, etimologicamente ‘prigioniera di sé’. Queste parole le avevo già pronunciate nel triste tempo della pandemia, oggi, a maggior ragione in tempo di guerra, vanno ribadite invitando a una ancor più profonda riflessione.

Chi scrive musica ha la responsabilità dell’essere artista, dell’abitare con pensiero critico il proprio tempo, del lanciare un messaggio di pace, di creare un ethos della solidarietà, non soltanto da un punto di vista dell’e(ste)tica ma anche sotto quello della consapevolezza sociale. Ethos rimanda al soggiornare, al dimorare nelle culture diverse, con la coscienza che lo spazio vitale non può che essere uno spazio di pace per tutti, altrimenti non è più un luogo di vita ma di morte, di barbarie, volgarità e inciviltà. La pace = armonia, è un’unione, un ponte che collega i diversi.

 

La SIMC ha dimostrato in questi anni dolorosi di farsi carico di un pensiero solidale. Oggi più che mai c’è bisogno di una riconciliazione dell’uomo con l’altro uomo e dell’uomo con la Natura. La musica può fare molto, può fondare una possibilità di futuro. Al di là della sapienza costruttiva, in quanto la tecnica è condizione necessaria ma non sufficiente per far vibrare di vita la musica. Al di là della funzione e ludica e della piacevolezza, gli artisti, i musicisti, i compositori sapranno senz’altro concepire l’opera che rivela l’esistente, lo denuncia, lo abbraccia e lo carica di speranza. Verso un futuro dove i suoni siano luminosi. Con questo auspicio siamo in attesa delle vostre opere che non possono non accogliere il dolore, la malattia, l’angoscia dell’ora terribile che stiamo subendo, ma che sicuramente comunicheranno anche la pienezza di vita di cui c’è tanto bisogno. Ringraziandovi.